Il Palazzo di Giustizia è un edificio giudiziario di Roma che si trova in piazza Cavour, nel rione Prati.
Esso è sede della Corte suprema di cassazione, del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Roma e della Biblioteca centrale giuridica ed è costeggiato da via Triboniano e via Ulpiano sui due lati corti e da piazza dei Tribunali sul fronte verso il lungotevere. Comunemente è chiamato dai romani il palazzaccio.
Storia
L'imponente mole del Palazzo visto dal Gianicolo.
Realizzato negli anni 1889 - 1911 dall'architetto perugino Guglielmo Calderini, è una delle maggiori opere realizzate dopo la proclamazione di Roma come capitale del Regno d'italia. L'inaugurazione ufficiale dei lavori, con la posa della prima pietra, avvenne in forma solenne il pomeriggio del 14 marzo 1889 (in onore del re, che compiva gli anni quel giorno) alla presenza dei sovrani Umberto e Margherita, del ministro guardasigilli Giuseppe Zanardelli - che aveva insistentemente voluto l'edificio per riunificare in una sede prestigiosa, nel quartiere Prati che stava allora sorgendo, i vari organi giudiziari della capitale - e del sindaco Alessandro Guiccioli.
La natura alluvionale del terreno sul quale insiste l'edificio, richiese imponenti lavori per la costruzione di una grande platea di calcestruzzo a sostegno delle fondazioni.
Durante i lavori di scavo per le fondazioni vennero alla luce diversi reperti archeologici, tra i quali alcuni sarcofagi con relativo corredo funerario. In uno di questi fu rinvenuta, accanto allo scheletro di una giovane donna, Crepereia Tryphaena, una bambola d'avorio di pregevole fattura e snodabile in alcune articolazioni, che fu trasferita nell'Antiquarium comunale. Ora è conservata nei caveaux dei Musei Capitolini di Roma.
Il palazzo, ventidue anni dopo l'inizio dei lavori, fu inaugurato, alla presenza del sovrano Vittorio Emanuele III, l'11 gennaio 1911.
Nonostante la robusta platea, problemi di instabilità sorsero anche dopo la sua ultimazione, finchè distacchi e cedimenti richiesero impegnativi lavori di restauro iniziati nel 1970.
Le dimensioni inusitate, le decorazioni eccessive, la funzione dell'edificio e la sua laboriosa costruzione non indenne da sospetti di corruzione (che portarono nel 1912 ad un'inchiesta parlamentare) furono all'origine del soprannome popolare Palazzaccio che tuttora lo accompagna.
Il progetto originale che aveva vinto il concorso prevedeva un terzo piano a tutta pianta, sotto il più ristretto volume finale di coronamento. Ma la scarsa resistenza del terreno che si era manifestata già in fase di costruzione, convinse il Calderini a rinunciarvi e ad accettare a malincuore la mutazione radicale delle proporzioni dell'edificio. Calderini si sentì uno sconfitto. Dopo l'inaugurazione piovvero sull'opera, e sul suo autore, critiche tecniche e soprattutto estetiche assai pesanti, fra le quali rimase famosa quella di Lionello Venturi: " Il palazzo di giustizia del Calderini è una massa di travertino in preda al tetano". Le esacerbanti critiche ricevute dal progettista perugino contribuirono a diffondere la leggenda metropolitana secondo la quale si sarebbe suicidato, quasi ottuagenario. Le cronache dell'epoca, invece, non hanno mai fatto registrare tale nota biografica.
Quando, alla fine degli anni sessanta, le crepe e i crolli aumentarono sino ad impedirne la fruizione (salvo che per la parte dove ha sede oggi la Corte di Cassazione), fu istituita una commissione di specialisti per decidere le sorti del monumento. La maggior parte di essi si pronunciò per la demolizione dell'edificio e la conseguente creazione di un vasto giardino come ampliamento di Piazza Cavour sino al Tevere. L'altra tesi propendeva per la conservazione, seppur non funzionale a causa dei costi di restauro statico, in quanto l'edificio, pur di non esemplare architettura, costituiva comunque la testimonianza storica di un'epoca. L'enormità dei costi di demolizione previsti fece prevalere questa seconda opinione. Così l'edificio, da tempo evacuato, fu sottoposto nel 1970 ad una serie di lavori, quanto bastava solo a metterlo "in sicurezza". E così è rimasto.
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